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La storia come bussola per ripartire

di Justin Yifu Lin (Capoeconomista e vicepresidente Banca mondiale)

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27 dicembre 2009


L'economia mondiale è appena uscita da una grave recessione caratterizzata da turbolenze finanziarie, distruzione di ricchezza su vasta scala e declino della produzione industriale e degli scambi. Secondo l'Organizzazione internazionale del lavoro, il prolungato deterioramento del mercato del lavoro nel 2009 potrebbe portare a un incremento stimato della disoccupazione globale fra i 39 e i 61 milioni di lavoratori in più rispetto al 2007. Entro la fine di quest'anno le schiere dei senza lavoro in tutto il mondo potrebbero ingrossarsi fino a contare 219-241 milioni di individui, il numero più alto mai registrato.
Secondo le stime, inoltre, la crescita globale dei salari reali, rallentata drammaticamente nel 2008, è scesa ulteriormente nel 2009, nonostante segnali di una possibile ripresa dell'economia. La Banca mondiale avverte che la crisi potrebbe spingere altri 89 milioni di persone nella povertà, in aggiunta a quel miliardo e 400 milioni di individui che, secondo calcoli del 2005, vivono al di sotto della soglia di povertà internazionale (1,25 dollari al giorno).
In questo contesto, la globalizzazione è stata oggetto di forti critiche, anche dai leader dei paesi in via di sviluppo, che avrebbero molto da guadagnarci. Ma l'alternativa all'integrazione globale non è molto invitante. Chiudere un'economia, se può servire a isolarla dagli shock esterni, può anche tradursi in una stagnazione e perfino in crisi interne gravi. Esempi attuali in questo senso sono il Myanmar e la Corea del Nord: prima della liberalizzazione economica anche Cina, Vietnam e India erano sulla stessa barca.
Per poter uscire stabilmente dalla crisi e costruire le basi per una crescita sostenuta e generalizzata in un mondo globalizzato, i paesi in via di sviluppo nel 2010 e dopo il 2010 dovranno trarre i giusti insegnamenti dalla storia.
Nella crisi attuale, la Cina, l'India e alcuni altri paesi emergenti se la stanno cavando piuttosto bene. Tutti questi paesi prima della crisi avevano un saldo con l'estero positivo e ampi spazi di manovra dal punto di vista dei bilanci pubblici, e questo ha consentito loro di applicare politiche anticicliche per contrastare gli shock esterni.
Inoltre, hanno puntato su settori industriali coerenti col vantaggio comparato di cui dispongono, e questo li ha aiutati a superare la tempesta. Il vantaggio comparato (che consiste nell'abbondanza relativa di manodopera, risorse naturali e capitali) è la base della competitività, che a sua volta garantisce una crescita dinamica e una posizione forte per quello che riguarda le finanze pubbliche e la bilancia commerciale.
Al contrario, se un paese cerca di fare qualcosa che non tiene conto del vantaggio comparato di cui dispone, ad esempio adottando una strategia di sostituzione delle importazioni per perseguire lo sviluppo di settori ad alta intensità di capitale o industrie hi-tech in un'economia carente di capitali, può succedere che il governo ricorra a sussidi e protezioni con effetti distorsivi, che penalizzano la crescita economica e rischiano di conseguenza di mettere in difficoltà i conti pubblici e il saldo con l'estero. Senza la possibilità di adottare tempestivamente misure anticicliche, questi paesi, quando arriva una crisi, se la passano male.
Per sfruttare il proprio vantaggio comparato e prosperare in un mondo globalizzato, un paese ha bisogno di un sistema di prezzi che rispecchi l'abbondanza relativa di un certo tipo di risorsa. In un contesto di questo tipo le aziende avranno incentivi a entrare in settori dove è possibile sfruttare la relativa abbondanza di manodopera per sostituire la relativa scarsità di capitali, o viceversa, riducendo i costi e accrescendo la competitività. Esempi di questo tipo sono la produzione di capi di abbigliamento nel Bangladesh, la produzione di software in outsourcing in India e l'industria manifatturiera leggera in Cina.
Ma questo sistema di prezzi relativi è praticabile solo in un'economia di mercato. Infatti la Cina è diventata una potenza economica solo dopo aver introdotto, negli anni 80, riforme orientate al mercato. Tutte le economie che hanno registrato, secondo il Growth Commission Report diretto dal premio Nobel Michael Spence, un tasso di crescita del 7% o più in un periodo di almeno 25 anni sono economie di mercato.
Un paese che sfrutta il proprio vantaggio comparato è più resistente alle crisi e riesce ad accumulare rapidamente capitale fisico e umano. I paesi in via di sviluppo che hanno queste caratteristiche sono in grado di passare, nell'arco di una generazione, da una situazione di abbondanza relativa di manodopera (o di risorse naturali) a una situazione di abbondanza relativa di capitale.
Per il progresso industriale serve anche un coordinamento degli investimenti collegati fra aziende. In Ecuador, un paese che ora è un grande esportatore di fiori recisi, i contadini non avrebbero coltivato fiori qualche decennio fa, perché non esisteva nessun impianto moderno di refrigerazione nelle vicinanze dell'aeroporto, e le società private non avrebbero investito in impianti di questo tipo in assenza di un'offerta di fiori da esportazione.
  CONTINUA ...»

27 dicembre 2009
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